Vogliamo, proprio in questo momento così terribile per l’Ucraina, e l’intera Europa, riflettere sullo stretto rapporto che esiste tra l’assenza della libertà di stampa in un paese, come la Russia, e il pericolo di guerra.
Il difficile e drammatico mestiere di giornalista
Questa è una triste storia completamente ignorata, da trent’anni, da tutti i paesi dell’ Unione Europea, che hanno preferito fare affari con Putin, anziché ascoltare il grido di dolore di migliaia di giornalisti indipendenti russi, che sin dal 1993, sono stati perseguitati, aggrediti, minacciati, incarcerati e uccisi. Chiedersi oggi se, dopo la caduta del muro di Berlino, una parola libera sia mai stata possibile in Russia, è più che lecito. Un potere assoluto, tutto nelle mani e nella mente di un solo uomo, che non accetta alcuna critica, inchiesta, nessuna verità, nessuna opposizione. Ed è quello che è accaduto in Russia, dopo il 1989, anno straordinario della fine della Guerra fredda e della liberazione dei paesi dell’URSS. Eppure, in Russia, sin dagli inizi degli anni ’90, la libertà di parola, di stampa e di informazione è stata da sempre repressa e soffocata dal potere statale e politico-criminale.
Il rapporto IFJ
Nel giugno del 2009 la Federazione Internazionale dei giornalisti ha pubblicato una vasta indagine che documenta la morte o scomparsa di più di 300 giornalisti a partire dal 1993, riconoscendo la Russia come uno dei Paesi più pericolosi per i giornalisti. Molte organizzazioni internazionali, come il Center for Journalism in Extreme Situations e Reporters Sans Frontières hanno anche sostenuto che molti giornalisti uccisi erano critici nei confronti del presidente russo Vladimir Putin.
Si è constatato dal 2000 un aumento dei casi di azioni giudiziarie nei confronti di giornalisti. Prima dell'arrivo di Vladimir Putin al potere, in nove anni erano stati registrati dieci casi di azioni legali per diffamazione, contro 49 nel solo 2002. La politica inizia ufficialmente a contrastare e a reprimere la libertà di pensiero e di informazione.
Tra il marzo del 2000 e il giugno del 2007 secondo RSF 21 giornalisti sono stati uccisi mentre svolgevano il loro lavoro.
Un buon giornalista e la libertà di un Paese.
Da decenni, circola in Russia una battuta feroce, pessimista come ai tempi dei gulag: “Un buon giornalista è un giornalista morto”. Perché se uno è bravo ed onesto, deve raccontare la realtà, semplicemente la realtà, non la fiction mediatica gestita dallo Stato per coprire complicità, corruzione, affari illegali, ingiustizie. Un giornalista libero, indipendente, non può girarsi dall’altra parte, non può spegnere le telecamere di fronte agli arresti di oppositori, ai divieti per i media indipendenti, alla censura di Internet, a brogli elettorali, a processi pilotati, ad aggressioni a militanti pacifisti, e alla emarginazione dei nuovi dissidenti. E alla negazione dei più elementari diritti di una democrazia.
In tutti questi anni, le morti e le violenze in Russia, non sono state sentite dalla maggioranza dell'opinione pubblica europea, né dagli Stati dell’ Unione europea. L’assenza di libertà di un popolo è di per sé uno stato di guerra interno al Paese. Esportare la guerra è solo un prolungamento di questa idea dominante su altri popoli.
Storie di giornaliste uccise
Oggi, vogliamo ricordare alcuni nomi di coraggiose giornaliste uccise in Russia. E ci prendiamo l’impegno di raccontare le loro storie su questo blog.
Irina Slavina, giornalista. direttrice di Koza Press, il 2 ottobre 2020 si è suicidata dandosi fuoco di fronte alla sede della polizia della sua città, dopo una perquisizione nel suo appartamento.
Anna Politkovskaja, cronista di Novaja gazeta, Mosca, uccisa il 7 ottobre 2006 nell'ascensore del suo appartamento.
Natalija Estemirova, attivista per i diritti umani, lavorava con giornalisti di Novaja gazeta, in particolare con Anna Politkovskaja. Il 15 luglio del 2009, Estemirova venne sequestrata di mattina a Groznyi. Il suo corpo fu trovato alcune ore dopo.
Malika Betieva, ex caporedattore di Molodëžnaja smena e corrispondente dalla Cecenia per la rivista "Dosh" (Parola), morì insieme a quattro membri della sua famiglia in un incidente automobilistico il 1° agosto 2010. (Non esiste una foto).