Era il 14 ottobre del 2019 quando la prof.ssa Martina Antoci ci contatta per organizzare al meglio un incontro con Paolo Siani e avere materiali per far conoscere ai propri studenti la vita e l’impegno di cronista di Giancarlo in terra di camorra. La sua attenzione per gli articoli e le inchieste di Giancarlo è stata sin dagli inizi feconda di idee e iniziative, tutte tese alla ricerca della
via giusta per coinvolgere i suoi giovani studenti. Ebbene, sì, Giancarlo, ha fatto breccia nel cuore e nella mente di questi giovani della periferia di Milano.
Grazie Prof.
Non ricordo di preciso la data dell’incontro con Giancarlo, di certo è stata ante Covid.
Ricordo invece molto bene il luogo e la circostanza: Buccinasco, Via Nearco n.6.
Ai più questo luogo non dirà nulla, ma per chi, come me, è milanese, milanese del sud-ovest, Via Nearco 6 sta per roccaforte di Rocco Papalia, ‘ndrangheta.
Prima, però.
Ora metà della reggia del re della ‘ndrina di Buccinasco è stata confiscata dallo Stato e affidata ad un’associazione, Villa Amantea, che si occupa di accogliere i minori non accompagnati.
Ecco lì, in quella parte sana della villa, in un cortile strapieno di cittadini, cronisti e giornalisti erano stati chiamati per ricordare il lavoro di Giancarlo Siani, cronista de “Il Mattino” di Napoli, ucciso dalla camorra il 23 settembre 1985.Questo era tutto quello che sapevo di lui. Giancarlo era per me un nome,neppure un volto, era il nome di una delle tante vittime innocenti delle mafie.
Con me, quel giorno,l’amico Andrea Tammaro, il mio Virgilio, che mi ha guidato nella conoscenza di Giancarlo: i libri, il film “Fortapasc”.
È stato un incontro casuale, come spesso lo sono gli incontri importanti. Poi più nulla è stato come prima.Leggendo libri su di lui, ascoltando interviste e, soprattutto, immergendomi tra le parole dei suoi articoli, la sua figura ha iniziato a prendere forma, a diventare reale, viva.Non era più Siani, vittima innocente di camorra, ma Giancarlo, “Un ragazzo normale”.
Da subito è nato in me l’imperativo categorico di condividere con i miei alunni, no, con tutti gli alunni della scuola in cui insegno, questa conoscenza.
È così che Giancarlo è arrivato a sedersi tra i banchi dell’IC Bruno Munari, Quartiere Olmi, periferia sud-ovest di Milano. Ed è con noi dal 2019, da quando abbiamo chiesto a suo fratello, l’Onorevole Paolo Siani, di venirci a trovare per parlare insieme con i ragazzi di un ragazzo, un abusivo, che amava fare bene il proprio mestiere, tanto da dare la vita.
Poi il Covid ha rallentato il tutto, ma ha avuto almeno un merito:donare a tanti studenti, molti dei quali ora già alle scuole superiori, il ricordodi un giovane giornalista amante della verità, Giancarlo.
Ma perché incaponirsi tanto con Giancarlo Siani, ben tre anni? Sono circa un migliaio, purtroppo, le vittime innocenti delle mafie e non mancano certo vittime “locali”, più conosciute.
Il perché sta tutto dentro gli articoli che Giancarlo ha scritto, nel suo instancabile e accuratissimo lavoro.
Seicentocinquantuno articoli, raccolti nel volume "Le Parole di una vita" della Iod edizioni, in cui lui, “l’abusivo”, non ha raccontato solo Torre Annunziata, ma ha tracciato i contorni di un Paese malato, che sembra non voler guarire.
Leggere articoli scritti tra il 1980 e il 1985 e sentirli ancora terribilmente attuali. Questa è stata la molla che mi ha portato a credere che fosse giusto sottoporli all’attenzione degli studenti 2.0.
Ho avuto la possibilità di toccare con mano la reazione di due differenti classi, entrambe due terze. Ragazzi diversi tra loro, dinamiche di classe differenti; eppure le reazioni sono state simili.
Un po’ mi sembra di aver usato i miei alunni come cavie da laboratorio, perché prima ancora di introdurre la figura di Giancarlo, ho architettato un esperimento: fotocopiare alcuni articoli, cancellando però data e nome della testata, poi distribuirli ai fanciulli. Quindi ho dato il via alla lettura e al relativo commento.
A seguire la domanda che da ore mi bruciava sulla lingua: “Secondo voi di quale realtà si sta parlando? Quando sono avvenuti i fatti riportati?”.
Le risposte dei ragazzi hanno confermato quanto già, dentro di me, sapevo. Sono usciti i nomi delle più disparate località di Milano e del suo hinterland: Quarto Oggiaro, Cesano Boscone, Baggio … Nessuno di loro si è reso conto che si stava analizzando una realtà lontana da loro centinaia di chilometri e temporalmente distante almeno quindici anni.
Quando ho svelato il nome dell’autore, la testata, il contesto e, soprattutto,il periodo storico, sono rimasti di sasso.
Ma chi era questo Siani che ne sapeva così tanto di disoccupazione, abusivismo edilizio, tossicodipendenza, criminalità minorile, camorra?
Solo a questo punto ho raccontato la storia di Giancà, il ragazzo del Vomero prestato a Torre Annunziata. E così quelle parole chiare e oneste, in grado di dare voce anche a chi viveva ai margini del potere, un potere corrotto, ha potuto avere un volto.
Per gli adolescenti un ventiseienne, se non vecchio, è comunque maturo, un “grande”. Ma se ai dati biografici si fanno seguire le fotografie, allora la percezione cambia. Perché il sorriso di Giancarlo, le sue smorfie immortalate nello specchietto della sua Mehari, sono simili ai volti dei giovani di oggi e alla loro voglia di ridere e mangiarsi la vita.
Dico sempre agli studenti, quando ci immergiamo nella storia di una delle troppe vittime delle mafie, di non chiamare mai eroe chi è morto perché faceva il proprio dovere. Con lui, Giancarlo, non ne ho avuto bisogno, l’hanno capito benissimo da soli.
Sono emerse tante domande tra gli studenti. Una tra tutte mi ha colpito: perché non si è firmato con un nome falso. La risposta è stata scovata nelle parole di Paolo Siani e di quanti hanno condiviso l’amore di Giancarlo per il giornalismo: l’orgoglio di fare la propria parte, di metterci la faccia e non aspettare che le cose si raccontino da sole, perché questo non può essere mai. La voglia matta di essere, più ancora che fare, “giornalista giornalista”.