Alphonse de Lamartine Graziella Procida Iod edizioni Cronisti scalzi

Lamartine, Graziella e l’isola di Procida. A cura di Anna Giordano

Quando Alphonse de Lamartine nel 1849 pubblicò per la prima volta l’episodio su Procida, all’interno delle sue Confidences, non avrebbe mai immaginato che la piccola isola, punto invisibile sulla carta geografica del golfo di Napoli, dove lui era giunto la prima volta nel 1811 col suo amico Aymon de Virieu, grazie a quel suo racconto liberamente ispirato a una sua esperienza degli anni giovanili, sarebbe diventato un luogo conosciuto e amato, dapprima in tutta l’Europa e poi nel mondo. L’episodio, infatti, isolato successivamente dal contesto in cui era nato, e pubblicato come romanzo nel 1852 dalla Librairie Nouvelle col titolo Graziella, ebbe letterariamente una vita propria, con successo straordinario in Francia e poi in Italia e nelle altre nazioni.

 

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Molto si è scritto su Graziella di Lamartine, a ragione e a torto. Non fu subito chiaro che esso entrava a pieno titolo in quel romanticismo sociale che portava alla ribalta la gente umile e povera, rimasta ancora ai margini di una società che voleva difendere i privilegi dei nobili, per additare all’Umanità i principi di uguaglianza e fraternità come valori fondamentali. Né fu compresa la dimensione simbolica del romanzo. La purezza dei sentimenti dei protagonisti sembrò, in primo luogo a Flaubert, retorica sterile, come pure non si accettò quel rendere protagonisti della Storia le classi dei più disagiati. Fu accusato di falsità, di furberia, di plagio dell’opera Charles Barimore del Comte de Forbin. In un certo modo si ripeteva per il romanzo Graziella tutto quanto Lamartine aveva dovuto subire anche nell’agone politico. La sua figura complessa non era facilmente comprensibile. Ma la piccola isola di Procida, che portava ancora vive le ferite della Storia, esultò dinanzi a quelle pagine e fu grata a colui che l’aveva proiettata in una felice dimensione letteraria, ripagandola in tal modo dai colpi violenti che aveva dovuto subire, solo perché molte famiglie, al pari di Lamartine, avevano sognato la Repubblica. Facendo schermo a quanto accadeva in Francia sentirono proprie quelle pagine e Graziella divenne per gli isolani il mito.

Alphonse e Graziella furono nell’immaginario collettivo il simbolo dell’amore assoluto. Ancora oggi incontrando una fanciulla in fiore le si domanda: “Chi è il tuo Alphonse?”. Domanda legittima, perché tutte le fanciulle dell’isola sognano di indossare il costume antico di Graziella e rivivere personalmente la storia della mitica fanciulla. La sua morte per amore non spaventa né allontana, ma vivifica la dimensione assoluta di un sentimento eterno. C’è chi ha amato Lamartine come poeta, chi come narratore, chi come saggista. Ma nell’isola di Procida c’è un solo Lamartine: l’autore di Graziella. Il romanzo e Procida sono una cosa sola. Offusca il meno celebre Raphael e perfino quello che comunemente è considerato il suo capolavoro, Le Lac. Sicuramente la lettura della storia di Julie e di Raphael nell’omonimo racconto concorrerebbe a una migliore interpretazione di Graziella. Se non altro per capire e sentire che le donne dei suoi versi e dei suoi romanzi sono tutte designate a essere romantiche, nella fatalità di una vita spesso segnata dalla tragica malinconia. Del resto è la stessa malinconia che attraversa tutta la storia personale dello scrittore, come malinconica è la fortuna della sua pur bella poesia. Il romanzo, che è entrato a pieno titolo nei classici del romanticismo, dovrebbe essere letto nelle scuole non come libro consigliato ma adottato, per educare ai sentimenti e alle emozioni, espressioni dei bisogni vitali di ogni uomo e donna. Formazione di cui oggi si sente tanto la mancanza, soprattutto tra i giovani.

Lamartine apparteneva a una famiglia di piccola nobiltà terriera della Borgogna. Quattrini in famiglia non molti, ma in compenso molto affetto e l’orgoglio del podere di Milly, che il padre coltivava personalmente. Una madre affettuosa e premurosa, attenta all’educazione di quel figlio prediletto. Smarrita l’innocenza dell’infanzia provò in gioventù l’inquietudine e visse la sua sensualità senza alcun freno. La madre, sofferente nel vedere suo figlio cavalcare derive troppo pericolose, proprio per sottrarlo a un innamoramento che forse non approvava, lo spinse a fare un viaggio in Italia.

Era il 1811 e a Napoli regnava Gioacchino Murat. Con l’amico Aymon de Virieu, Lamartine scorazzava nel golfo e insieme misero piede per la prima volta nell’isola di Procida. Tornato a Mâcon fu eletto sindaco e l’attività politica lo pose con più responsabilità verso la vita dei suoi concittadini. Riprese gli studi e fu catturato dal demone della poesia. Subito dopo il matrimonio, avvenuto nel giugno 1820 con una giovane inglese, Marianna Elisa Birch, dolce e devota moglie, tornò a Napoli come diplomatico presso l’Ambasciata francese e vi dimorò pochi anni, visitando Ischia e raggiungendo ancora una volta Procida. Poi il distacco definitivo dalla Campania. Nel 1825, nominato segretario d’ambasciata a Firenze, si trovò coinvolto in una faccenda poco diplomatica, che, insieme alla rivoluzione di luglio del 1830 in Francia, turbò non poco la sua vita. La morte dei suoi giovani figli lo provò fortemente. Solo la poesia e il rinnovato impegno politico nel Parlamento francese, cui si dedicò dando tutto se stesso, ridiedero un senso alla sua vita. Non mancarono le grandi delusioni.

Nel 1844 tornò con la moglie a Ischia per una lunga vacanza a Casamicciola, dove, ammirando da lontano Procida, cominciò a scrivere le prime pagine di Graziella. L’avvento della seconda repubblica nel 1848, della quale fu l’ispiratore e poi Ministro degli Esteri, durò pochi mesi, ma egli sperò ancora in un sostegno di quel popolo che amava e per il quale aveva speso il suo tempo prezioso e molti dei suoi beni. Purtroppo alle elezioni presidenziali fu battuto da Luigi Bonaparte, che successivamente, nel 1851, con un colpo di Stato, ripristinò l’Impero. Per Lamartine, che aveva sognato e lottato per gli ideali repubblicani, fu la fine. Lasciò definitivamente le politica, ritrovandosi con una mole enorme di debiti. Quel poeta e scrittore, che da giovane aveva composto e scritto con un occhio alla fama e un altro all’immortalità, fu costretto con gli anni a comporre e a scrivere per il pane quotidiano. Nei suoi ultimi anni era diventato tanto povero da dover accettare, sia pure a malincuore, una pensione dall’imperatore Napoleone III. La sua casa di Milly era andata venduta e i suoi beni ormai erano inconsistenti. In quel contesto di fallimento politico e umano si colloca Graziella, l’opera sua più fortunata.

Dal momento della pubblicazione del romanzo, Procida divenne l’isola della fanciulla amata da Lamartine nella sua giovinezza, prima e anche dopo che diventasse l’isola di Arturo per Elsa Morante e poi del Postino per il film di Massimo Troisi.

 

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Memorabile l’articolo su Procida del 1960 pubblicato su le «Vie d’Italia» di Alberto Moravia intitolato proprio L’isola di Graziella: un riconoscimento del mondo letterario italiano al grande poeta francese. Possiamo dire che Graziella ha ben ripagato Lamartine. Egli le deve molto. Le deve quell’immortalità che aveva inseguito. E se oggi Graziella non si legge e studia a scuola, come nel passato, poco importa. Il libro conserva ancora nelle sue pagine la freschezza di un fiore appena colto. Passano gli anni, cambiano le mode e i costumi, ma Graziella rivive nei cuori dei giovani e degli adulti, dona a chi vi si avvicina e ne sfoglia le pagine, contestualizzando la vicenda nell’epoca in cui è ambientata, la certezza che nulla è perduto di ciò che è fatto per amore. Fu la convinzione che sostenne Lamartine negli ultimi giorni della sua vita. La sua richiesta di perdono per non aver riconosciuto e difeso l’amore per Graziella, con la quale si chiude il romanzo, è sincera ed esprime realmente il sentimento che pervadeva l’animo dello scrittore. Le ragazze di Procida lo intuiscono profondamente e rivivono i sentimenti della protagonista del romanzo, indossando il suo splendido abito e sognando di diventare, almeno per un anno, “la Graziella”. Mai un’isola ha tributato tanto a un suo narratore.

CRONISTI SCALZI

Cronisti scalzi è una collana di libri dedicata alla memoria del giovane giornalista napoletano, Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra il 23 settembre del 1985.  

La collana ha l’ambizione di raccogliere le narrazioni dei giovani cronisti delle periferie e delle città, e di autorevoli voci del giornalismo d’inchiesta, impegnati a resistere allo strapotere delle mafie.

NELL'INFERNO DELLA CAMORRA DI PONTICELLI

Le pagine del libro di Luciana Esposito sono una narrazione fatta sul campo nell’inferno della camorra di Ponticelli, diventato quartiere simbolo di ogni città, rione, quartiere, piazza in cui vige la camorra. Le storie raccontate, e perfino la mimica di certi camorristi, sono identiche in ogni quartiere, come se si tramandassero attraverso una molecola specifica di Dna.

ROBERTA GATANI, CINQUANTASETTE GIORNI

In questo libro, Roberta Gatani, nipote di Paolo e Salvatore Borsellino, ripercorre ogni giorno trascorso tra il 23 maggio e il 19 luglio 1992, un tempo fittissimo di lavoro per il Giudice che, sapendo di avere le ore contate, mise in campo tutte le proprie forze per fare luce sulla strage di Capaci.

FRANCESCO DANDOLO, TRACCE

Le pagine di questo volume rappresentano una missione ambiziosa, un passaggio obbligato per evitare che la cronaca comprima – a volte rozzamente, più in generale in modo confuso – la questione “epocale” delle migrazioni del nostro tempo in una vuota ossessione.