Perché siamo arrivati a celebrare l’Arte Povera invece di celebrare i poveri attraverso l’arte?
Noi continuiamo a credere che Simone Isaia, condannato a 4 anni di carcere, abbia bisogno di cure anziché del carcere.
Oggi, a noi piace parlare di Simone Isaia, dei sofferenti psichici, della povertà e della follia. Degli stracci, quelli veri.
In piazza Municipio si è festeggiato per la seconda volta l’installazione della riproduzione della Venere degli stracci del maestro Michelangelo Pistoletto, distrutta da un incendio il 12 luglio del 2023 e che per tale reato è stato condannato il giovane senza tetto Simone Isaia a scontare quattro anni di reclusione e al pagamento di una multa di 4mila euro. Una condanna sproporzionata. Soprattutto per chi, come Simone, è un acclamato sofferente psichico.
Simone Isaia è proprio uno di quegli stracci che fanno da contraltare alla Venere in piazza Municipio. Un vero straccio della città, un sofferente psichico, il cui gesto del 12 luglio 2023 è diventato un destino. La sua esperienza di clochard lo ha spinto a vivere non più in una casa ma a ritrovarsi come abitazione la città, nella più totale solitudine.
Ecco cosa ci racconta Salvatore Manzi, docente presso l’Accademia Belle Arti di Lecce, artista contemporaneo, teologo protestante e profondo conoscitore della pratica artistica con i sofferenti psichici, e tra i primi firmatari della petizione per prendersi cura di Simone Isaia e non condannarlo al carcere.
«Dai sofferenti psichici si può apprendere tanto, si può attingere ad insegnamenti radicali indimenticabili. In loro compagnia non bisogna inscenare con mestizia il copione divulgativo di chi siamo e quanto valiamo. Con loro si può essere felici anche di non essere. È possibile iniziare una discussione senza stucchevoli preamboli, potendo fare a meno della snervante pretesa di affermare le proprie idee o confutare chissà quale tesi.
Da loro si può apprendere che in qualche sacchetto della spesa, legato con cura, può esserci tutto ciò che occorre e che tutto ciò che occorre non è che un processo di archiviazione indipendente da ogni valore commerciale.
Con i sofferenti psichici ho lavorato a lungo anche in termini creativi ed ho realizzato, grazie a questo laboratorio dell’umano, aperto e itinerante, che buona parte dell’arte contemporanea non è che speculazione della follia, che la pratica artistica non ha bisogno del mondo, che l’uomo si esprime in ciò che compie e non in ciò che di-mostra. Sofferenza psichica e povertà sono spesso compagne. Buona parte delle storie che ho conosciuto, sono il frutto di questo intreccio. Forse anche la storia di Simone Isaia vive di queste componenti.»
Noi continuiamo a credere che Simone Isaia abbia bisogno di cure anziché del carcere.
E siamo convinti che il Sistema dell’arte, diventato religione dell'arte, non tollera la povertà, celebra l’Arte Povera ma odia i poveri. Non li sopporta. Sono degli ingombri per l’arredo urbano.
Paolo Giulierini scriveva nel giorno della condanna di Simone Isaia: “Oggi a Napoli chi era stato già derubato della propria dignità si è preso anche 4 anni di prigione. Se l’arte è servita solo a ciò ha fallito miseramente il proprio compito. E con questo finale tutti noi”.
Al maestro Pistoletto: Se ha voglia di abbracciare il clochard Simone Isaia, ecco il suo indirizzo: carcere di Regina Coeli di Roma.
Continuiamo a condividere la petizione: https://chng.it/SzwBW2QHk2