La storia ci travolge, in un attimo sembra che gli eventi precipitino rapidamente fino a cambiare i destini di un popolo e dell’intera umanità. La storia, però, non è un’entità indipendente, essa è fatta dagli uomini e dalle donne, dalle loro azioni, dal loro impegno o disimpegno civile, dal loro esserci o no, dalla attiva partecipazione, dalla presa in carico delle responsabilità nei ruoli occupati sia in famiglia che nel lavoro, nelle decisioni da prendere nel bene e nel male, a qualsiasi livello. Insomma, in una sola frase emblematica e spesso abusata: la storia siamo noi, sempre, anche quando la nostra vita sembra sfuggirci di mano sovrastata da eventi tanto più grandi di noi. Questa definizione di “Storia” è alla base della democrazia ed è radicata nella nostra cultura occidentale, come strumento forte di libertà e, in questo feroce ritorno della guerra in Europa, dobbiamo sentire ancora di più quanto le nostre singole scelte siano parte essenziale per ricostruire la pace… bla bla bla
Questo incipit è la perfetta rappresentazione del compito in classe svolto secondo i canoni tradizionali della composizione di un tema sulla traccia “spiega cosa è per te la Storia”. A scuola si insegna a fare la sintesi di concetti che sono alla base della conoscenza e i ragazzi scrivono, dimostrando di aver studiato anche piuttosto bene gli argomenti ma il più delle volte senza chiedersi come impiegherebbero nella realtà della vita queste conoscenze acquisite. Ma ammettiamo che agli studenti venga assegnata la stessa traccia ma dopo aver affiancato ai contenuti una serie di esperienze di didattica viva come: l’incontro con un testimone della resistenza, poi con un ragazzo siriano scappato dalla guerra, un viaggio nei luoghi emblematici del secondo conflitto mondiale, o anche una visita alla mostra sugli oggetti degli ebrei recuperati nei campi di concentramento, e forse anche la partecipazione ad un laboratorio di scrittura teatrale sulla segregazione dei popoli.
Certamente la scrittura del compito risulterebbe emotiva, ricca di esempi reali che andranno a rendere vivi i concetti espressi. Questa è la scuola strumento di pace, che associa la lettura e lo studio al vissuto delle persone. Questa è la scuola che con enormi difficoltà economiche cerca di far esperire agli studenti la solidarietà, l’empatia, l’ascolto attivo delle esperienze dirette, questa è la scuola dell’inclusione, dell’intercultura, quella che ha inserito i figli dei migranti, quella che risponde immediatamente al richiamo della storia con l’elaborazione di proposte e di riflessioni critiche. Cosa sarebbe il nostro paese senza questa scuola? Senza menti fresche che si affacciano alla vita con i sogni nelle tasche da realizzare? Come si fa a non pensare che la speranza abbia messo casa proprio lì?
A volte vorrei avere una “macro-camera” che potesse riprendere in contemporanea tutti i milioni di studenti, di docenti all’opera, dalla prima campanella all’uscita dalla scuola, che leggono, ascoltano, piangono, dialogano, imparano a far pace, si divertono e si annoiano, si innamorano di un suono, o di un segno, di un gesto o di un volo di uccello che si posa sulla cima di un campanile.
Il luogo dell’immaginazione, della metamorfosi, della scoperta dello sguardo dell’altro diverso da sé!
Tutti, se potessimo vederli in contemporanea, scopriremmo che quello è il luogo delle domande, il tempio dove si fa costante memoria delle opere dei grandi, il luogo dove la bellezza è obiettivo e sostanza che resta. È questa l’immagine sincrona dell’incontro in classe, ogni giorno, tra milioni di ragazzi e i loro docenti; è la migliore delle pratiche di democrazia che si consuma ogni giorno, puntualmente, nel nostro paese.
Ora…